Sul caso del bambino Alfie Evans- Di Enrico Negrotti. Avvenire 26 Aprile 2018

“Questo bambino ci interpella profondamente: è vivo 48 ore dopo il distacco del respiratore. Non si può certo dire che sia sottoposto ad accanimento». La neurologa Matilde Leonardi, direttore del Centro di ricerche sul coma dell’Istituto neurologico nazionale Carlo Besta di Milano, è peraltro stupita che non si permetta ai genitori di decidere dove curare il proprio figlio: «Si è evidentemente rotto il rapporto tra famiglia e medici, ma non permettergli di portarlo via mi sembra una limitazione incomprensibile».

Che cosa si può dire delle condizioni cliniche di questo bambino? È normale che non ci sia una diagnosi?

Noi dell’Istituto Besta ci siamo offerti per un secondo parere su richiesta degli avvocati della famiglia Evans. Da quello che è stato reso noto, risulta che il bambino ha sintomi da epilessia mioclono progressiva, ma la causa può essere molto diversa e non la conosciamo. È un caso complesso, e richiede una serie di esami complessi, forse non sono stati effettuati tutti, ma non lo sappiamo. Occorre anche tenere presente che in questo tipo di epilessia nella metà dei casi la diagnosi potrebbe non risultare possibile. Noi siamo disponibili a una collaborazione, perché pensiamo che la scienza non ha confini.

Si sta rischiando di usare accanimento terapeutico su Alfie? Come lo trattereste in Italia?

Abbiamo presente il senso del limite, perché fa parte della professione medica. Sappiamo peraltro che nel caso di Alfie non c’è stato e non c’è accanimento terapeutico, cioè un trattamento sproporzionato rispetto alle sue condizioni. Non è stato tenuto in vita a tutti i costi, lo dimostra anche il fatto che non è morto a 48 ore dal distacco del respiratore. Quindi non permettiamo l’accanimento, ma un bambino viene mantenuto vivo finché la sua patologia non lo porta a morte.

Possiamo essere sicuri che non sia ormai un paziente terminale?

Quando un paziente è terminale, quando il suo organismo non ce la fa più, si fanno valutazioni su ogni trattamento che può risultare sproporzionato. Ma il piccolo Alfie sta dimostrando che con un piccolo aiuto ce la fa. Gli è stata tolta la ventilazione, ma con fatica ce la fa: allora non puoi interrompergli i fluidi (idratazione e alimentazione) altrimenti muore di fame e sete, non della sua malattia, siamo ai limiti dell’omissione di soccorso. La vita di questo bambino ci interroga, e molto profondamente.

Come mai non c’è dialogo tra medici e famiglia?

In questo caso è emerso che si è chiaramente rotta l’alleanza tra famiglia e personale medico. Questo è un caso qualcosa di esemplare di che cosa succede quando c’è la rottura di questo rapporto. Al Besta quando ci sono situazioni molto gravi, di bambini che sono in pericolo di morte se non sostenuti con ventilazione, si discute con la famiglia di ogni trattamento. È impensabile che il caso venga gestito da un giudice.

I medici prima, il giudice poi, hanno valutato secondo il miglior interesse del bambino. Che criteri sono in gioco in una decisione del genere?

Il best interest è il punto intorno a cui hanno ruotato le sentenze. Ci si fa anche la domanda sulla sofferenza, ma quel che era emerso dai medici era che il bambino non ne aveva, almeno fino a quando non hanno staccato la ventilazione. Poi aggiungono che non c’è possibilità di recupero. Questo è un criterio molto opinabile: facendo il neurologo osservo che la possibilità di recupero non c’è per i tre quarti dei pazienti con malattie neurologiche. Questo non è il criterio con cui opera un neurologo. Ma il giudice si è spinto oltre, definendo futile non il trattamento, bensì la vita di questo bambino dicendo che è futile. Un commento che non ha nulla a che vedere con la scienza.

Perché non può essere portato via dall’ospedale?

Non condivido la decisione di aver tolto al genitore la possibilità di decidere per il proprio figlio. Mi pare una limitazione molto forte. Se non c’è cura, si lasci che i genitori possano vederlo morire a casa.

Quanto può contare la valutazione economica nella decisione sulle cure?

L’economia viene tenuta presente, ma non può essere determinante nel curare o meno un singolo paziente. O dobbiamo mettere un economista nei pronto soccorso per valutare quanto costeranno i codici rossi?